Collegentilesco: Tra Paesaggi e Ricordi
Riflettendo sul luogo della mia memoria e della mia infanzia, penso subito al mio paese vicino ad Amatrice: Collegentilesco. È un luogo a cui sono profondamente legato. Questo piccolo borgo, con non più di cinquanta edifici, si snoda attraverso una serie di dislivelli che convergono nella piazza centrale. Qui sorgono la chiesetta e la sua fontanella, con una vasca sul retro per permettere agli animali di bere. Durante l'inverno, il paese conta solo poche decine di abitanti, ma in estate si anima all’improvviso, come se fosse popolato da una moltitudine di persone, quasi tutti lontani parenti o amici di famiglia. Da bambino era difficile capire chi fosse un familiare, chi un amico, o chi un "finto" zio o zia da salutare con affetto, immerso in quel caos intimo e accogliente.
Porto con me tanti ricordi del mio paese natio: le estati passate con altri ragazzi del luogo, andando a esplorare i sentieri e i prati, raccogliendo more, foglie e tesori del bosco. Tornavamo sempre a casa coperti di fango, con spighette infilate nei calzini e sui pantaloni, per la gioia delle nostre madri.
E naturalmente, la mia casa: il “palazzo” di famiglia, con il suo giardino cinto da mura che per me era una vera e propria fortezza, un regno in cui ogni membro della famiglia aveva un ruolo. Ricordo le stanze, i saloni, e soprattutto la grande cucina con il braciere antico sul lato e il grande tavolo nel grande salone adiacente, dove durante i pasti tutta la famiglia si sedeva, arrivando ad essere quasi una ventina.
Il camino, un imponente focolare risalente al 1840, ha un posto speciale nei miei ricordi. Con i suoi sedili laterali, offriva rifugio a qualche mia bisnonna nelle fredde giornate invernali durante la preparazione delle pietanze sul fuoco. Quella che ai miei occhi di bambino era un enorme architrave, vi era riportata un'incisione: il nome "Bartlmeo Alegianj" – in realtà doveva essere “Bartolomeo Alegiani”, ma l’artigiano sbagliò l’incisione e non fu mai corretta, diventando un segno iconico di quel camino. Ricordo quel camino sempre acceso, che riscaldava la casa fino al momento della partenza per Roma.
Esistevano poche regole a cui tutti dovevamo obbedire: pranzare e cenare insieme, la passeggiata pomeridiana verso il paese sottostante, e le partite, dopo cena, a burraco delle zie con le loro amiche. Era una casa in cui ogni membro della famiglia contribuiva a un grande ingranaggio ben oleato e dove ci si voleva bene, o almeno così mi sembrava agli occhi di un bambino.
Oltre alla casa e alle sue dinamiche, riaffiorano nella mia memoria gli ambienti semi-incontaminati che circondavano il paese, spazi naturali che sembravano appartenere a un altro tempo, intatti e preservati. C’erano percorsi che si snodavano lungo le pendici delle montagne, sentieri battuti solo dai nostri passi e da quelli degli animali selvatici, dove ogni curva e ogni svolta offrivano scorci sempre nuovi e sorprendenti.
Questi sentieri regalavano esperienze avventurose e a volte persino impegnative, con salite ripide che mettevano alla prova la nostra resistenza e un clima che cambiava in un attimo: dal sole caldo che bruciava la pelle, all’ombra umida dei boschi, dove l’aria si faceva fresca e pungente. Camminare lì significava immergersi completamente nella natura, avvolti dal profumo delle erbe selvatiche, dal rumore dei passi sui sassi e dal canto lontano degli uccelli.
Spesso, dopo chilometri percorsi, ci fermavamo a riposare. Bastava un tronco caduto, muschioso e levigato dal tempo, o un angolo d’erba umida, per distenderci e concederci una pausa. Erano momenti in cui il mondo sembrava rallentare: restavamo in silenzio, ammirando l’immensità della natura intorno a noi, ascoltando il vento che si insinuava tra i rami, il fruscio delle foglie e, di tanto in tanto, qualche animale che si muoveva nel sottobosco. Quei momenti di pausa, immersi in una quiete quasi sacra, ci permettevano di sentirci parte di quel paesaggio, come se fossimo un tutt’uno con le montagne, le foreste e il cielo azzurro sopra di noi.
Ogni camminata era diversa dalla precedente, perché il paesaggio mutava con le stagioni: in primavera esplodevano fiori dai colori vividi, in estate l’erba alta ondeggiava al vento, mentre in autunno il bosco si riempiva di foglie rosse e dorate, e l’odore della terra umida diventava più intenso.
Caratteristiche fondamentali dell’imprinting
I termini che ho scelto per descrivere questi ricordi sono:
INTIMITA' CONVIVIALE.
RESILIENZA COMUNITARIA.
Ho deciso di scegliere questi due termini perchè mi sembrano che riescano ad esprimere l'atmosfera accogliente e familiare che il borgo mi trasmetteva, insieme anche alla tenacia e alla forza collettiva che il sisma ha fatto emergere..
L’idea di questo schizzo nasce dall’immagine che subito affiora alla mente quando penso al mio paese: un susseguirsi di discese e salite
Dovendo pensare ad una tessitura relativa al mio paese mi immagino la piazza centrale, concepita però come un'ellisse che si espande con grazia nello spazio circostante. Le sue curve morbide si distendono, suggerendo una centralità che invita a immergersi nella vita comunitaria. La superficie della piazza assume diverse quote, creando un paesaggio dinamico che riflette il movimento e l'interazione. Ogni livello, con le sue ondulazioni, invita a una relazione fluida tra gli spazi e le persone
In questo disegno, ho cercato di esplorare come questa nuova tessitura, scaturita dall'Imprinting, che possa interagire con le tessiture precedentemente realizzate. L'idea è quella di considerare il centro come il nucleo del lotto, attorno al quale si diramano le vie del mio paese.